Il tempo di attesa

C'è stato un periodo della mia vita durante il quale mi sono dedicato assiduamente alla passione della fotografia. In realtà la mia è stata più che una passione, ho praticato un periodo in qualità di assistente presso un fotografo locale e, dopo circa un anno, ho aperto il mio studio fotografico con la convinzione che così facendo avrei potuto trasformare la mia passione in un lavoro vero e proprio. Ho trovato il posto, mi sono attrezzato (facendo dei debiti con una banca) ho noleggiato una vetrina per esporre i miei lavori e, con grande entusiasmo, mi sono lanciato.

Dalla finestra, mi sono lanciato, la mia esperienza è durata tre anni dopo i quali ho raccolto le mie piume e mi sono dedicato ad attività più redditizie, con le quali poter pagare i debiti e con le quali potermi mantenere.

Ma non è tanto della mia esperienza  che volevo parlare quanto della differenza che corre tra il fare fotografia oggi e farla trent'anni fa. Oggi la fotografa offre delle possibilità immense, le nuove fotocamere digitali hanno raggiunto standard qualitativi altissimi e con i processi di post produzione è praticamente possibile fare qualsiasi cosa, in un modo molto veloce, a partire dallo scatto fino alla condivisione sui media e sui social network. Veloce? Forse troppo. Quando io praticavo la fotografia (e i miei colleghi con me) c'era tutta una serie ineludibile di passaggi da effettuare a partire dallo scatto fino al risultato finale. Passaggi che avevano i loro tempi di attesa (scatto, sviluppo, stampa e altri passaggi intermedi). Ed è proprio sui tempi di attesa che voglio concentrarmi perché per tutti noi era davvero bello essere obbligati ad aspettare una più o meno buona riuscita dell'immagine. Il tempo di attesa era un momento magico al quale non si poteva e non si doveva rinunciare. E poi la camera oscura, il tempio del fotografo, ingranditori, bacinelle, pinze, acidi, carta fotografica, e via dicendo. Chi è nato digitale non può sapere di che cosa sto parlando, ma chi dalla pellicola è passato ai pixel ha molto chiari in mente i due processi fotografici. 

Non riesco a dare una conclusione a questa riflessione, non sono (più) un professionista e pur possedendo corredi fotografici sia digitali che a pellicola non riesco a vedere le differenze tra una buona immagine che sia scattata in digitale o su pellicola, per me una bella immagine rimane sempre una bella immagine però mi manca un po', come dicevo più sopra, il tempo di attesa, fondamentale per provare emozioni più uniche che rare. Se un giorno mi riuscisse di rimettere su una camera oscura mi piacerebbe provare a riappropriarmi del tempo di attesa e di tutto ciò che, magicamente, ne consegue.

 

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